Ispirato a una riflessione di Krishnamurti
Quando pensiamo alla parola “violenza”, il pensiero corre subito a immagini forti: guerre, aggressioni, atti crudeli, distruzione. Ma se ci fermiamo ad ascoltare in silenzio, a osservare con occhi più profondi, scopriamo che la violenza ha molte forme. Alcune sono invisibili, ma non per questo meno reali.
Violenza è anche usare parole taglienti, quando scegliamo di ferire invece di comprendere.
Violenza è costringere qualcuno a cambiare strada, solo perché non ci piace dove sta andando.
Violenza è obbedire per paura.
Violenza è tradire se stessi per compiacere.
Violenza è reprimere un’emozione legittima, per adeguarsi.
Come ci ricorda Krishnamurti, la violenza non è solo la strage organizzata “in nome di Dio, della società o della patria”. È anche – e forse soprattutto – quella che si insinua nelle nostre relazioni quotidiane, nei pensieri giudicanti, nei gesti meccanici, nei silenzi non ascoltati.
Viviamo in un mondo dove la velocità, l’efficienza, l’apparenza, spesso ci allontanano dalla gentilezza. E così la violenza più sottile diventa normale, si mimetizza, prende la forma di un’abitudine: il sarcasmo, la critica automatica, il disprezzo verso chi è diverso, il rifiuto di ascoltare davvero.
La radice della violenza: la separazione
Ogni forma di violenza nasce da una rottura. Una frattura interiore, una separazione tra noi e gli altri, tra ciò che siamo e ciò che fingiamo di essere. Quando siamo scollegati da noi stessi, entriamo in lotta. E quella lotta, prima o poi, si manifesta all’esterno.
La consapevolezza è il primo passo.
Chiederci: sto agendo per paura? Sto parlando per ferire? Sto ascoltando o solo aspettando di parlare?
Portare luce nei gesti quotidiani, nelle parole, negli sguardi.
La pratica del non-nuocere
Nello yoga, uno dei primi Yama è Ahimsa, la non-violenza. Non solo come comportamento, ma come stato dell’essere. Non nuocere con il corpo, la parola, il pensiero. È un cammino lungo, che richiede presenza. Ma anche solo iniziare ad osservarci con onestà, è già trasformazione.
In questo tempo così carico di tensioni e polarizzazioni, riscoprire la delicatezza diventa un atto rivoluzionario. Prendersi cura del linguaggio. Respirare prima di reagire. Ascoltare davvero. Scegliere la gentilezza.
La rivoluzione dell’introspezione
Come dice Krishnamurti: “La violenza è molto più sottile, molto più profonda, e noi indagheremo sino alle sue profonde radici.”
E forse è proprio da lì che può nascere un mondo nuovo: da chi ha il coraggio di guardare dentro di sé, e scegliere ogni giorno di non nuocere, di non separare, ma di unire.