Viviamo in una realtà che ci spinge a definire, misurare, spiegare. A riempire ogni spazio con parole, giudizi, azioni. Eppure, nel cuore di ogni autentico processo di trasformazione, c’è un momento in cui tutto si ritira. Si fa silenzio.
Un silenzio che non è vuoto, ma grembo.
Un silenzio che non è fine, ma soglia.
È in questo spazio che la coscienza si espande. Quando la mente smette di cercare risposte all’esterno, qualcosa si dischiude: un’intelligenza più antica, più sottile, che sa senza dover comprendere. Non è più il tempo dell’analisi, ma della rivelazione.
Non siamo più quelli che osservano. Siamo ciò che viene osservato.
Lo Yoga ci conduce proprio lì. Nella pratica – che sia Yoga Nidra, meditazione o un semplice gesto consapevole – impariamo a dimorare in quel vuoto fertile, in cui la vita si rigenera nel profondo. Quando lasciamo che il corpo riposi, che il respiro trovi la sua naturale profondità, la mente si acquieta. E ciò che emerge non è un pensiero, ma una presenza. Una chiarezza silenziosa.
È in quello spazio che la verità si mostra, non come concetto ma come esperienza diretta.
Non arriva da fuori. Non ha bisogno di essere detta.
È riconoscimento.
È ritorno.
Tutto ciò che nella vita ci chiede cambiamento – le crisi, le trasformazioni, i passaggi di soglia – porta con sé un invito: disidentificarsi da ciò che crediamo di essere. Lasciare andare le forme passate. Come la natura nel solstizio d’inverno, che si ritrae per permettere alla nuova vita di emergere.
Il silenzio non ci dà risposte. Ci prepara a riceverle.
Non risolve i nostri dilemmi, li trasforma.
Ci rende permeabili, disponibili, vuoti a sufficienza da poter contenere ciò che prima non aveva spazio.
E così, nel non-fare, nel non-volere, accade il vero ascolto.
E in quell’ascolto… ritorniamo a casa.